Architettura ed elementi scultorei

  1. Il romanico

    L'arte romanica, dal punto di vista storico, corrisponde in parte all'età feudale ma si afferma soprattutto nell'età comunale, in particolare tra l'XI ed il XII secolo.
    Dopo l'anno mille rinascono le città e da questa rinascita traggono nuovo impulso le arti ed i commerci.
    Il centro della città è la Cattedrale, sede del vescovo. Nelle sue immediate vicinanze si innalza il Palazzo Comunale dove si amministra la cosa pubblica e sempre nelle vicinanze troviamo la piazza del mercato.
    Ma il cuore pulsante della città sono le strette vie dove si aprono le officine degli artigiani ed i magazzini del mercanti. Saranno proprio gli artigiani ed i mercanti gli artefici di questo rinnovamento artistico: i primi infatti costituiranno la manodopera, i secondi la committenza.
    Una peculiarità dell'artigiano romanico è la fantasia e l'invenzione. Non abbiamo quindi un'arte ripetitiva, fedele ad un canone come quella bizantina, ma, poiché l'artigiano deve vincere la concorrenza, la sua tecnica è sempre nuova e si basa sull'invenzione di nuove metodologie e sull'uso di materiali sempre diversi.
    Il romanico, rispetto all'arte bizantina, assume i connotati di una vera e propria rivoluzione. Se gli artigiani bizantini usavano marmi rari, l'oro per i mosaici e le pietre preziose per le loro pale d'altare, gli artigiani romanici utilizzano materiali non necessariamente preziosi. La pietra infatti sostituisce il marmo e l'affresco sostituisce il mosaico.
    Dal punto di vista strutturale, la chiesa romanica ha tre livelli: le navate, il presbiterio e la cripta.
    La cripta si sviluppa sotto il presbiterio ed emerge quanto basta per alzare il piano dello stesso in modo che tutti possano assistere al rito. Il presbiterio inoltre ha una scala di accesso, un ciborio sopra l'altare, uno stallo fisso per il celebrante, di solito al centro dell'abside, una iconostasi per esporre le immagini sacre, un candelabro per il cero pasquale ed un ambone per la lettura delle scritture.
    La volte possono essere a crociera oppure a capriate in vista come nella chiesa del Vomano.
    I muri perimetrali sono abbastanza spessi per sostenere il peso del tetto ed in molti casi, per neutralizzare le forze di rotazione o di sfiancamento, troviamo dei contrafforti che sporgono dai muri perimetrali. Le colonne sono portanti e su di esse si scarica, almeno in parte, il peso del tetto. Non a caso molte volte al posto delle colonne troviamo i pilastri, oppure una alternanza di colonne e pilastri.
    La costruzione di una chiesa romanica è sempre opera di una maestranza organizzata dove ogni componente riveste un ruolo ed assume compiti specifici: dall'architetto che dirige i lavori al semplice manovale o allo scalpellino.
    Per quanto riguarda la scultura è opportuno ribadire il ruolo significativo che gli scultori assumono all'interno del cantiere. Il loro repertorio non conosce limiti e spazia dal tema storico - narrativo a quello di pura fantasia, passando tranquillamente dal profano al mostruoso, dal popolare al sacro con estrema disinvoltura.
    Se nelle città il monumento romanico per eccellenza è rappresentato dalla chiesa cattedrale, nelle campagne il romanico trova la sua maggiore espressione nelle chiese delle abbazie, sicuramente meno ricche delle cattedrali ma non per questo meno interessanti.
  2. L'abbazia romanica di San Clemente al Vomano

    La chiesa che oggi possiamo ancora ammirare non è quella del IX secolo, bensì quella ricostruita agli inizi del XII secolo quando, con l'abate Grimoaldo, Casauria rinacque dalle sue rovine.
    Della prima costruzione rimangono poche tracce e per giunta abbastanza incerte. Sicuramente appartenevano alla chiesa del IX secolo alcuni rilievi che sono stati poi riutilizzati nella chiesa romanica. Tra questi ritengo opportuno segnalare il pluteo con uccelli che beccano l'uva che è stato murato all'esterno dell'abside di destra e che richiama motivi presenti nell'arte plastica tardo medievale.
    La data di ricostruzione è quella riportata sul piedritto sinistro del portale, vale a dire 1108 anni dopo la nascita di Cristo:

    + ANNI AB I/NCARNA/IONE DNI/ NOSTRS IESU XPI/ SUNT M/LCVIII/ INDIC/IONE XV

    Lapide con anno della ricostruzione della chiesa

    Lapide con anno della ricostruzione della chiesa


    A parte le altre incertezze del lapicida, ML deve intendersi come abbreviazione di mille. Non regge l'ipotesi formulata dal De Logu che propone di leggere 1158. Sembra abbastanza esauriente quanto scrive a tal proposito Francesco Aceto nei Documenti dell'Abruzzo Teramano.
    Crediamo lecito supporre che nel caso di San Clemente il cantiere fosse composto da elementi che si erano formati alla scuola di quanti avevano lavorato alla costruzione della chiesa di San Liberatore a Maiella, conosciuta come "scuola liberatoriana". Dopo la costruzione di San Liberatore, infatti, l'equipe, formata da muratori, architetti, capimastri, scalpellini ecc. che avevano lavorato per anni assieme e che avevano raggiunto una discreta padronanza costruttiva, non si sciolse ma continuò a progettare e realizzare altre chiese.
    La sua planimetria si rifà ad un impianto di tipo basilicale che si riscontra non soltanto in Abruzzo (San Liberatore a Maiella, appunto) ma anche in alcune chiese romaniche della vicina Campania.
    Osservando bene il monumento possiamo rilevare la presenza di alcuni elementi erratici di riporto. In particolare la presenza di alcuni elementi di origine romana lascia supporre che i monaci per la ricostruzione della chiesa abbiano utilizzato, come già è stato detto, materiali prelevati dalla villa rustica che si trovava nelle immediate vicinanze. Inoltre è d'obbligo ritenere che nella ricostruzione siano stati riutilizzati alcuni elementi appartenenti alla prima costruzione, attraverso una operazione di recupero che lascia presupporre un adattamento degli elementi stessi.
  3. Il portale

    La facciata è impreziosita da un portale in pietra bianca della Maiella.
    Molto probabilmente quel portale non è stato realizzato in modo specifico per la chiesa del Vomano. Le difformità esistenti nei piedritti, soprattutto l'architrave che risulta essere insufficiente rispetto all'apertura, lasciano supporre che possa trattarsi di un recupero. D'altra parte il riutilizzo di elementi decorativi appare ampiamente giustificato dalle "ristrettezze" e dalla mancanza di mezzi con cui sicuramente l'architetto dovette fare i conti.
    Dal punto di vista artistico appare interessante il tema decorativo, costituito da un tralcio vegetale che racchiude nelle sue volute fiori e foglie. Possiamo notare che i rosoni ed i girali, ma anche altri elementi decorativi, ricordano elementi del portale dell'abbazia cassinese dell'abate Desiderio, così come appaiono evidenti le analogie con quello di San Giovanni a Capua.
    Alla sommità dei piedritti troviamo due capitelli decorati con foglie di acanto. Appare in questo caso evidente il riferimento alla cultura romana. I romani infatti usavano appendere alle porte dei templi dei mazzetti di foglie di acanto ritenendo la pianta una difesa efficace contro gli spiriti del male. Con il passare degli anni finirono con l'attribuire tali poteri anche alla riproduzione della foglia in pietra o in marmo. L'artista del portale ha voluto riproporre il simbolismo delle foglie di acanto, quasi come un invito a chi entra in chiesa ad abbandonare il male per aderire al bene.
    Sull'archivolto del portale troviamo una seconda iscrizione, dopo quella di cui già abbiamo detto a proposito della ricostruzione della chiesa avvenuta nel 1108:

    IN DEI NOE; P: PROPOS ET B FILIO (?) …. FECIT FARE POR …A S CL … FIRME… IN DEI NOMI … GNISCARDU ARTIFICE DE ARTE ARhIETONICA

    Dopo la parola firme, troviamo una cesura: il testo riprende infatti con una seconda invocazione al nome di Dio. E' evidente che mentre nella prima parte si fa riferimento al portale ed alla sua committenza, la seconda parte ci riporta il nome di Gniscardus, artefice nell'arte architettonica, che molto probabilmente è stato il direttore del cantiere che ha ricostruito l'abbazia nel XII secolo.
    Riteniamo interessante, in ogni caso, la consuetudine di incidere sul portale, e quindi in un posto ben visibile, una memoria della committenza e del direttore dei lavori, tipica usanza delle vicina Campania.

    Portale

    Portale

  4. L'interno

    Lo spazio interno è diviso in tre navate: quella centrale termina con una abside mentre le due laterali con due absidiole. Il presbiterio è rialzato rispetto al piano di calpestio ed è spinto in alto dalla cripta. Il tetto, a capriate in vista, è stato recentemente rifatto.
    E' legittimo ritenere che i resti della precedente struttura per motivi di economia siano stati inglobati nella nuova costruzione: questo discorso vale sia per le strutture portanti sia per le fondazioni. Ma non sempre le strutture preesistenti sono state rese idonee a supportare le nuove strutture. Anche questo ha contribuito ad accrescere, secondo alcuni, la "cronica deficienza statica" del monumento.
    Da notare come le colonne si alternino a pilastri. Questa alternanza crea all'interno una disarmonia stilistica di notevole impatto visivo.

    Interno

    Interno - Foto di Mario Minorenti

  5. I capitelli

    I capitelli sono tutti diversi tra loro. Si passa da un capitello con rappresentazione di animali ad uno con foglie di acanto, da un capitello con palmette ad uno cubico con facce lisce o ad un altro ottenuto da un frammento di cornice di epoca romana, in aderenza, come scrive Francesco Aceto "a quel gusto per la varietà che è una delle doti peculiari dell'arte romanica, di solito aliena negli ornati da effetti di monotona regolarità".
    Uno dei temi maggiormente dibattuti ha riguardato recentemente l'attribuzione alla bottega di Ruggiero e Roberto di alcuni capitelli. "Come mai -si chiede Aceto- in un edificio del 1108 si trovano capitelli manifestamente appartenenti alla officina di Ruggiero e Roberto, noti soltanto tra il 1148 ed il 1166?"
    E' la questione che aveva spinto il De Logu a leggere sulla lapide del portale "1158" come data di ricostruzione della chiesa.
    Sicuramente nel 1108 tutti i capitelli erano stati collocati in situ. Ma senza dubbio vi sono elementi, in particolare nel capitello della quarta colonna di destra, che evidenziano non poche peculiarità dell'arte di Roberto e di Ruggero. Non è da escludere, come suggerisce lo stesso Aceto, che alcuni capitelli siano stati per così dire rilavorati dagli stessi nel periodo in cui stavano lavorando al ciborio.
    D'altra parte il fatto che, nel periodo romanico, altri artisti potessero intervenire sullo stesso manufatto era del tutto normale. Non si esclude quindi che Roberto e Ruggero abbiano potuto rimettere la mani su qualche capitello che a loro giudizio meritava di essere rifatto.
    A proposito del capitello della quarta colonna di destra, vi è da rilevare che trattasi di un capitello figurato che coniuga forme vegetali con protomi umane e animali e che pertanto richiama temi che ritroviamo in Campania e in Puglia.

    Capitello figurato

    Capitello figurato

  6. La cripta

    La cripta occupa lo spazio sottostante al presbiterio e alle absidi. E' stata ricavata sfruttando il dislivello naturale del terreno. Forse la sua costruzione è stata suggerita per risolvere almeno in parte le difficoltà di ordine statico, considerato che la chiesa è posta sul declivio di un colle franoso.
    E' divisa in due navatelle trasversali da quattro colonne mentre altre due colonne, collocate dinanzi all'abside maggiore, definiscono lo spazio quasi a formare un triforio. Le volte sono a crociera.
    Nella cripta è stato recentemente collocato un busto di San Clemente, databile alla fine del XVIII secolo, realizzato in gesso e juta secondo la tecnica delle statue del presepe napoletano.

    Cripta

    Cripta - Foto di Mario Minorenti

  7. Il ciborio

    Il ciborio, databile attorno al 1150, appartiene alla bottega di Ruggero e del figlio Roberto ed è sicuramente l'elemento che, per la sua originalità, per la sua composizione e la sua tipologia decorativa, rappresenta uno dei capolavori in assoluto dell'arte romanica in Abruzzo.
    La struttura è a base rettangolare (cm.260 x 230 ) e poggia su quattro colonnine in pietra, probabilmente riutilizzate. che a loro volta poggiano su quattro basi diverse fra loro: quelle anteriori infatti sono piatte e mostrano nella faccia superiore del fogliame mentre quelle posteriori sono a forma di capitello rovesciato, probabilmente di riuso.
    Sopra le colonne poggiano i capitelli, anche questi diversi tra loro: quelli posteriori sono a due ordini di palmette e richiamano il capitello corinzio, quelle anteriori presentano delle composizioni fantastiche dove da foglie di palma emergono cornucopie e strani personaggi i cui copricapo a forma conica fanno pensare alle popolazioni della Mongolia ma che in realtà dimostrano analogie con i capitelli dell'ambone della Cappella Palatina di Palermo.
    Il corpo del ciborio è a forma di parallelepipedo. I quattro specchi laterali formano coppie di arcate pensili che rimangono come sospese al centro di ogni faccia.
    Al di sopra del fascione troviamo due tamburi di forma ottagonale; quello superiore rispetto a quello inferiore è più piccolo quanto basta a far si che gli spigoli vadano a cadere nel mezzo dei lati del tamburo inferiore.
    Il tamburo inferiore presenta un pregevole traforo con colonne molto vicine tra loro e con archetti incrociati mentre il tamburo superiore presenta delle colonne binate con arcate a ferro di cavallo che contengono un fiore che occupa tutto lo spazio della lunetta. Da sottolineare è il fatto che i due tamburi ottagonali sovrapposti e sfalsati sono una rarità anche nell'arte islamica.
    La composizione culmina in una piramide ottagonale con in cima una decorazione con leoni alati affrontati ( grifoni) che dovevano recare in sommità, secondo il Gavini, un clipeo con l' Agnello Mistico.
    Ai quattro angoli sulla fronte dell'ottagono superiore notiamo i monconi di quelli che probabilmente erano i simboli dei quattro evangelisti: il toro, il leone, l'angelo e l'aquila.
    Gli specchi laterali mettono in mostra una estrosa decorazione con intrecci di nastri, figure antropomorfe e forme vegetali.
    Le figure umane, a volte inquietanti, a volte mostruose, in alcuni casi grottesche, esprimono forse le paure e le angosce dell'uomo medievale. Possiamo ritenere che tutto il manufatto sia portatore di simbologie legate ad un evidente moto ascensionale: dalle angosce del mondo si passa infatti alla mediazione tra il cielo e la terra, simboleggiata dai tamburi a forma ottagonale, per concludersi con i grifoni alati, animali simbolici a metà tra l'aquila ed il leone, che rappresentano la potenza e la sovranità.
    L'opera è firmata:

    pluribusexpertus- fvt.iccumpatre robertv …roggeriodurasreddentes- artefigvras

    che possiamo così tradurre: esperto in molte cose, Roberto fu qui col padre Ruggero, per rappresentare con arte figure in materiale duro. Il passaggio dal singolare del primo verbo ( fuit), al plurale dei secondo ( reddentes) lascia intendere che furono entrambi i maestri a operare.
    La critica è concorde nel ritenere che le radici del ciborio del Vomano affondano sicuramente nella cultura islamica diffusa nel meridione d'Italia. Bertaux ad esempio afferma che " gli arabeschi fanno pensare alle opere calligrafiche dei decoratori musulmani". Lo stesso fa il Gavini che parla di "carattere arabeggiante che informa tutta l'opera" mentre il Brockhaus ribadisce che le forme ornamentali del ciborio "tradiscono una forte influenza islamica."
    Ma se la critica è concorde nel definire di matrice araba le decorazioni del ciborio, poco è stato detto su come tale influsso abbia raggiunto l'Abruzzo. Molta attenzione ha suscitato sicuramente lo studio di Ferdinando Bologna che ha evidenziato, soprattutto a proposito della decorazione dei due tamburi, un nesso arabo - ispanico che collega la Spagna ( Cordova, Toledo) e l'Africa del Nord (Qairawan ) con il medio e basso Adriatico.
    Bologna avvalora inoltre una mediazione amalfitana, ipotesi questa che era stata avanzata dal Toesca. Non mancano di certo legami storici e culturali che legano Amalfi alla Montecassino di Desiderio e non è da trascurare il fatto che lo stesso Desiderio aveva convocato a Montecassino, per ristrutturare la chiesa abbaziale, maestranze amalfitane dove erano presenti anche scultori e decoratori di cultura islamica.

    Specchio laterale del ciborio

    Ciborio tamburi ottagonali

    Ciborio: specchio laterale e tamburi ottagonali - Foto di Alberto Fantozzi

  8. L'altare

    Si tratta di un'opera di pregevole fattura non solo per i materiali utilizzati, come il marmo cipollino, ma anche per gli elementi decorativi e la tecnica esecutiva.
    Il manufatto presenta nell'antependium e nella facce laterali tre lastre di marmo lavorate a niello. Lo spazio lasciato vuoto dallo scavo è stato poi riempito con coccio pesto misto a collante ed a frammenti di paste vitree. Le lastre sono incorniciate entro un quadro di calcare decorato con foglie.
    L' antependium presenta croci quadrilobate e altri motivi vegetali con al centro un Agnus Dei, mentre le due lastre laterali presentano dei rameggi abbastanza eleganti.
    Il fine lavoro di intarsio ed il risultato tecnico ottenuto hanno fatto propendere per la sua attribuzione alla stessa bottega che ha realizzato il ciborio.
    In realtà l'opera è sicuramente anteriore al 1150. Da uno studio condotto da Fabio Coden, emerge chiaramente che, quando Ruggero e Roberto hanno iniziato a lavorare al ciborio, sono intervenuti sulla pedana, modificandola e recuperando i conci che decoravano la fronte della stessa. Uno dei conci è stato tra l'altro riutilizzato come base per la colonnina anteriore di sinistra. Ma quello che interessa notare è la presenza all'interno della decorazione di un quadrifoglio con croce, molto simile a quelli dell'antependium.
    Da ciò si deduce che sia la pedana che l'antependium erano preesistenti al ciborio di Ruggero e Roberto. La datazione dell'antependium e della pedana, pertanto, secondo lo studioso, deve essere necessariamente non successiva al 1108, anno di ultimazione dei lavori di ricostruzione della chiesa. Potremmo anche essere in presenza del recupero di un manufatto realizzato non in modo specifico per la chiesa del Vomano, come nel caso del portale, ma, sia che si tratti di un recupero sia che si tratti di un adattamento, una cosa è certa: la pedana e l'altare non appartengono alla bottega di Roberto e di Ruggero.
    Per quanto riguarda gli elementi decorativi, è stato più volte sottolineato lo stretto rapporto esistente con tematiche figurative di gusto islamico anche se, a mio modesto parere, non mancano elementi di derivazione bizantina anch'essi presenti nel Meridione d'Italia ed in particolare in Puglia.

    Antependium dell'altare

    Antependium dell'altare - Foto di Mario Minorenti

  9. Statua di San Clemente

    Si tratta sicuramente di un'opera di notevole interesse storico-artistico, anche se è stata a lungo quasi completamente ignorata dalla critica e solo recentemente è stata dalla stessa riconsiderata e rivalutata.
    Premesso che la scultura lignea di soggetto sacro ebbe larga diffusione in Abruzzo a cavallo tra i secoli XIII e XIV, per capire il valore storico ed artistico dell'opera è opportuno fare una puntualizzazione.
    Ci troviamo di fronte a quella che può essere definita "una scultura dipinta", che evidenzia lo stretto rapporto, esistente in quel periodo, tra scultura e pittura, rapporto che continuerà sino al momento in cui inizierà ad affermarsi una statuaria vera e propria, con tecniche proprie dell'attività scultorea.
    Bisogna aggiungere inoltre che la statuaria a tutto tondo nel medioevo continua a subire il peso di una tradizione fortemente negativa, essendo ritenuta espressione del paganesimo e dell'idolatria.
    Alla scultura inoltre viene preferita la pittura. In un periodo in cui pochissimi erano in grado di leggere, la pittura assolveva benissimo il compito di "raccontare" la vita di Gesù, le storie della Vergine e la vita dei Santi.
    La statua ci presenta il Santo in posizione seduta (manca lo schienale), vestito con i paramenti pontificali e la tiara ad un solo regno, mentre con la mano destra benedice alla latina e con la sinistra reca un libro.
    Possiamo notare come alcuni elementi stilistici, quali ad esempio la frontalità, l'impianto simmetrico, l'immobilità iconica della composizione, richiamino sicuramente schemi riferibili non solo all'arte bizantina ma soprattutto a quella francese di area provenzale del Duecento.
    Tuttavia se da un lato l'opera richiama stilemi duecenteschi collegabili alla cultura antelamica che caratterizza la Deposizione della Cattedrale di Tivoli, dall'altro l'espressività della figura e la sobrietà del panneggio sono elementi che ci lasciano intravedere l'avvento del gotico. Ai fini della datazione, appare fondata l’ipotesi di Ferdinando Bologna che la colloca tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento.
    Una prova dice il Bologna è "la tiara recata in capo dal santo pontefice, della foggia anteriore alla riforma voluta dai primi papi avignonesi, i quali come si sa introdussero il triregno".
    A tal proposito appare opportuna una precisazione. In origine la tiara era un semplice copricapo di forma conica, utilizzato in Persia dai sacerdoti del dio Mitra. L'uso del copricapo giunse poi a Roma con la diffusione nella città dei culti mitraici. La prima corona venne aggiunta nell'VIII secolo per significare il potere temporale dei papi. La seconda corona fu aggiunta nel 1298 da Bonifacio VIII al tempo del contrasto con Filippo il Bello, re di Francia, per ribadire la superiorità del potere papale rispetto a quello dell'autorità civile. La terza corona infine venne aggiunta solo nel 1342 da Benedetto XII, papa avignonese, per riaffermare in tal modo la sovranità del pontefice quale capo della Chiesa universale. Quello che ci preme sottolineare è il fatto che la tiara, recata in capo dal nostro san Clemente, trova un immediato riferimento in un affresco del XIII secolo che si trova a Subiaco, raffigurante papa Innocenzo III (1198-1216), che viene rappresentato con un copricapo ad una sola corona, sormontato dal rubino. Non vi sono dubbi pertanto sul fatto che lo scultore abbia fatto ricorso ad una foggia di tiara sicuramente pre-trecentesca e che la datazione della statua non debba superare gli inizi del XIV secolo.
    Secondo il Previtali, l'opera è da attribuire, anche se con qualche incertezza, al Maestro della Santa Caterina della Collezione Gualino, considerate le notevoli affinità con altre opere di sicura attribuzione presenti sul nostro territorio come ad esempio la Madonna della Cattedrale di Teramo e quella proveniente da Sant'Angelo Abbamano, ora al Museo Nazionale dell'Aquila.
    Enzo Carli, a proposito del Maestro della Santa Caterina, scrive: "Si distingue per il pressoché totale abbandono di una certa massività, ancora di residuo romanico, a favore di un più elaborato e goticamente fluido andamento dei panneggi e, soprattutto, per una maggiore finezza ed eleganza del modellato". Non pochi elementi come il volto di forma ovoidale ed allungata, il naso affilato, le sopracciglia ben delineate, le labbra brevi e sottili nonché il panneggio della veste ricadente dalle ginocchia sembrano avvalorare pertanto l’attribuzione del Previtali.
    Riteniamo opportuno aggiungere, infine, che la critica più recente tende sempre più ad abbandonare l'idea di una collocazione dell'artista in un ambito culturale umbro, mentre si sta lentamente facendo strada una sua collocazione in ambito abruzzese e più precisamente teramano.

    Statua di San Clemente

    Statua di San Clemente

  10. Il monastero

    Del monastero del Vomano ci sono giunte poche e frammentarie notizie. Poco o nulla sappiamo quindi del complesso monasteriale, soggetto tra l'altro a frequenti distruzioni e devastazioni.
    Il cenobio, delimitato a nord da una strada secondaria che, secondo il Palma univa Hatria ad Interamnia, aveva in origine probabilmente una forma ad L, con un'ala rivolta ad est ed una rivolta a sud.
    Sicuramente comprendeva quanto era necessario per assicurare al monastero una certa autonomia (cantina, cucina, refettorio, dormitorio) ed anche le "officinas monasterii" come frantoio, stalle e magazzini.
    Buona parte del complesso, distrutta verosimilmente dagli atriani verso la fine del XIII secolo, non venne successivamente ricostruita. Solo la parte attigua alla chiesa ha tutto sommato mantenuto la struttura del XIII secolo, anche se è opportuno precisare che le riedificazioni ed i rifacimenti successivi ne hanno in parte stravolto le caratteristiche originali.
    Quello che rimane del complesso ospita al piano terra un frantoio con volte a crociera ed un magazzino con travi in vista. Al piano superiore si trova invece quello che potrebbe essere stato l'appartamento dell'abate con annessa (forse ) una cappella privata.
    L'ingresso al piano superiore, nascosto dalla successiva costruzione del portico, presenta una ghiera in cotto mentre sul lato nord notiamo un cornicione abbellito con una doppia fila di denti di lupo.
    I monaci benedettini abbandonarono il monastero dopo il 1326 forse a causa di una qualche pestilenza, mentre il primo abate commendatario si insediò probabilmente entro la prima metà del XIV secolo.
    Il monastero è oggi abitazione privata e non è visitabile.

    Monastero

    Monastero

  11. Le absidi esterne

    Le absidi riprendono la sequenza degli archetti pensili ciechi delle due fiancate laterali.
    Molto interessante la finestrella dell'abside centrale impreziosita da una cornice in pietra che richiama alcuni elementi del portale.
    L'abside di sinistra è nascosta da un contrafforte costruito a sostegno del campanile, la cui tipologia costruttiva è tipica delle maestranze di scuola liberatoriana.

    Absidi

    Absidi - Foto di Mario Minorenti



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